I Favati, dalle nebbie irpine esce il Pietramara Etichetta bianca

PietramaraUna nebbia fitta e impenetrabile, da romanzo noir,  all’altezza di Baiano. Una pioggia battente che non dà tregua. Per mettersi in macchina e fare una cinquantina di chilometri, giovedì scorso, ci voleva una buona ragione. Un invito, ad esempio. Come la festa per l’arrivo di un nuovo componente della famiglia Favati. La lieta novella arriva da Piersabino, Giancarlo e Rosanna, dell’azienda I Favati di Cesinali, in provincia di Avellino, e da Vincenzo Mercurio, l’enologo che segue l’azienda dal 2007. Il padre biologico. Sulla porta della loro cantina c’è un etichetta bianca. Il Pietramara Fiano di Avellino Docg Etichetta Bianca 2007, il “Riserva” lo chiama Rosanna, è prodotto con uve provenienti dal vigneto Pietramara, 5 ettari disposti ad anfiteatro lungo la direttrice nord-est – nord ovest, a circa 450 metri di altezza. In particolare, dalla porzione più a nord, dove si raccoglie più tardi. Uno di quei vini bianchi che, dalla sua concezione, alla sua realizzazione, guarda al futuro come un rosso. Concepito per uscire 6 mesi dopo i suoi fratelli Fiano. Non a caso, spiega Mercurio, delle 2500 bottiglie che ne usciranno a febbraio-marzo, alcune sono Magnum. Viene proposto in degustazione per la sua presentazione attraverso un percorso sensoriale che parte dal Pietramara 2006, il più caldo in assoluto e il più lungo. Paglierino di grande vivacità. Con note agrumate e di nocciola tostata al naso. In bocca sapido e fresco in giusta misura. Passa per il Pietramara 2007, il più delicato; che accompagna alle note agrumate e minerali, quelle di fiori bianchi e pera, che ritornano anche in bocca, insieme ad una piacevole acidità. E approda alla “Riserva”, vendemmia 2007. L’Etichetta Bianca è leggermente più carico nel colore. Paglierino con qualche lampo dorato. Si caratterizza al naso per la mineralità, una marcata nota di pietra focaia. E di noce. In bocca colpisce per la sua morbidezza. Un effetto da manuale da degustatore: una punta di burro sulla lingua. Piacevolissima. Buona la persistenza. Con questo corredo sensoriale, fa il suo ingresso in società il nuovo nato. Mentre la comitiva di degustatori e giornalisti passa a qualche assaggio di Taurasi, quello di Venticano e quello di Montemarano, in elevazione nelle barrique, dalle quali Vincenzo Mercurio attinge dalla lunga “ siringa” di vetro che si illumina di rosso. Poi la cena con una serie di piatti saporosi dell’Irpinia. Fra tutti: cecatielli e fagioli, scarola ripiena e culatello, coppa e salame del maiale allevato dalla famiglia, battezzato Frank. Come è vero il ricordo di chi ha fatto del bene in vita, travalica il tempo e lo spazio. Si parla, a distanza di giorni, di Frank, pur non avendolo mai conosciuto. Per le sue gesta di alto rappresentante della gastronomia irpina.

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